19 ottobre 2012

L'intervento del Generale dei gesuiti al Sinodo sulla nuova evangelizzazione


Pubblichiamo la traduzione integrale in italiano dell'intervento del Padre generale dei gesuiti, Adolfo Nicolás, al Sinodo dei vescovi per la nuova evangelizzazione, in corso in Vaticano. Una densa riflessione su errori e conseguenze di un certo approccio "missionario" e sulla necessità, per una nuova evangelizzazione davvero efficace, di tornare ai fondamenti del primo annuncio. 

Appartenendo a un ordine religioso missionario, mi sento in dovere di riflettere sulla storia passata della nostra congregazione. Non possiamo parlare di Nuova evangelizzazione, finché non siamo certi di avere imparato qualcosa dalla Prima evangelizzazione, dalle cose che abbiamo fatto bene, dagli errori che abbiamo commesso così come delle mancanze nell’annuncio del Signore.
Provengo da una tradizione nella quale si incoraggia e si viene formati a cercare Dio in tutte le cose, in ogni occasione e in ogni situazione. Sant’Ignazio su questo aspetto trasse ispirazione, senza dubbio, dal Nuovo Testamento, dove, per esempio, san Paolo, nel suo famoso discorso nell’areopago citando un poeta greco disse: «In Lui (cioè in Dio) noi viviamo e ci muoviamo e, come hanno detto alcuni dei vostri poeti: “di Lui, infatti, siamo progenie”» (At 17, 27-28). Dio è presente e vivo in ogni comunità umana, anche se noi non vediamo immediatamente come si manifesta e quanto è profonda la sua presenza.
Purtroppo noi, missionari, non abbiamo fatto questo con sufficiente dedizione e così non abbiamo contribuito, con queste scoperte, alla vita della Chiesa. Non sto dando nessuna colpa ai missionari in generale, sto solo parlando della mia tradizione, della mia esperienza e del mio gruppo di missionari. Sono sicuro che molti missionari, anche gesuiti, hanno fatto meglio di quanto abbia fatto io.
Abbiamo cercato di essere positivi nei confronti delle altre culture e tradizioni. Ma mi spiace che abbiamo visto i segni della fede e della santità in un’ottica occidentale ed europea (anche l’Instrumentum laboris, parlando dei frutti della fede, specifica ai nn. 122-128 alcuni segni della fede che sono eccellenti in sé e facilmente riconoscibili dalla Chiese occidentali). Non siamo entrati con sufficiente profondità nelle culture nelle quali lo Spirito è stato proclamato, per scoprire quella parte del Regno di Dio che è già lì, radicata e attiva nei cuori e nelle relazioni delle persone. Non siamo stati disposti a trovare «il fattore sorpresa» nel lavoro dello Spirito Santo, che fa crescere il seme anche se il contadino dorme o il missionario è assente.
Credo che ciò possa essere applicato sia alla Missio ad Gentes sia alla Nuova evangelizzazione nel mondo moderno. Lo Spirito di Dio non ha oziato, ma ha lavorato nei cuori delle persone e nelle menti dei saggi. Sta a noi ascoltare con maggiore attenzione e con immensa umiltà per riconoscere la voce del Signore dove non ci aspettiamo che essa possa essere ascoltata.
Nei miei anni di seminario, ricordo che rimasi impressionato da uno studio che gli allora professori Karl Rahner e Joseph Ratzinger pubblicarono sulla Rivelazione al Concilio di Trento. Secondo loro, quando il Concilio di Trento parlava di Scrittura, si riferiva al Vecchio Testamento; mentre quando parlava di Spirito intendeva che esso fosse presente sia negli scritti del Nuovo Testamento sia, ed e qui è la sorpresa, nei cuori dei fedeli.
Non prestando sufficiente attenzione a come Dio sia presente e abbia lavorato nelle persone che incontriamo, noi abbiamo perso importanti elementi. Perciò è tempo di imparare da questa storia, da quanto è stato perso nella prima evangelizzazione, prima di affrontarne una nuova. Si sono verificate molte cose positive, vogliamo farle nostre e svilupparle. Allo stesso tempo, sappiamo che sono stati compiuti molti errori, soprattutto nel non ascoltare le persone, nel giudicare con grande superficialità gli aspetti positivi di tradizioni e culture antiche, nell’imposizione di forme di culto che non esprimevano la sensibilità e il modo di rapportarsi a Dio dei popoli. 
La grandezza di Cristo ha bisogno del contributo di tutti i popoli e di tutte le culture. Ci sono molte lezioni che possiamo imparare dal passato e che possono essere di grande utilità nella nuova evangelizzazione. Permettetemi di menzionarne alcune:

1) l’importanza dell’umiltà nell’annunciare il Vangelo;
2) il bisogno di riconoscere «la verità dell’imperfezione e dei limiti della nostra umanità» in ogni cosa che diciamo e proclamiamo, senza alcuna traccia di trionfalismo;
3) la semplicità del messaggio che cerchiamo di comunicare, senza complicazioni o eccessive razionalizzazioni, che lo rendono opaco e incomprensibile;
4) la generosità nel riconoscere il lavoro di Dio nella vita e nella storia dei popoli, accompagnato da sincera ammirazione, gioia e speranza quando riscontriamo in altri la bontà e la dedizione;
5) il messaggio più credibile è quello che arriva dalla nostra vita, totalmente guidata dallo spirito di Gesù;
6) il perdono e la riconciliazione sono le migliori vie per raggiungere il cuore del Signore;
7) il messaggio della Croce si trasmette meglio attraverso la negazione di noi stessi.
Grazie per la vostra attenzione.

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