7 settembre 2012

Martini: "Il mio Novecento"


Il 30 agosto 2006 su Raitre nella trasmissione “Il mio Novecento” il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002, ha raccontato la sua vita. Intervistato al Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme, il cardinale ha rivelato dettagli inediti della sua vita, passando in filigrana il Novecento e commentando i suoi più grandi avvenimenti: una lettura semplice e a tratti appassionante, che spazia dai primi anni di vita fino agli anni più recenti, vissuti a cavallo tra Milano e Gerusalemme. 
Dalla trascrizione di quella testimonianza abbiamo isolato due brani dove Martini, facendo riferimento esplicito ai suoi contatti con i continenti e popoli extraeuropei, riflette sul tema del dialogo con il diverso e sull’incontro con altre civiltà e culture.

Il dialogo

C’erano anche molte occasioni per coltivare un dialogo interreligioso, anzitutto con gli ebrei, perché questa è la prima realtà con la quale noi ci incontriamo come cristiani, lì vi troviamo le nostre radici. Ed ebbi modo a Milano, dato che la comunità ebraica era molto aperta, molto sensibile, di avere dialoghi di grande interesse e anche iniziative comuni, spiegazioni comuni di parti della Scrittura. Naturalmente tutto questo avveniva anche attraverso i viaggi, gli incontri con le diverse comunità. 
Il dialogo interreligioso poi si sviluppò anche col mondo musulmano, soprattutto partecipando alle grandi preghiere per la pace organizzate dalla comunità di Sant’Egidio in diverse città d’Europa. Lì si incontrarono grandi rappresentanti del mondo musulmano colto e ci furono dialoghi di grande interesse. 
Poi col mondo dell’Oriente: lì ebbi modo di conoscere sia la spiritualità indù, sia la spiritualità buddista. Ricordo che una volta parlai a lungo con un vecchio monaco buddista in un monastero, in un’isola vicino a Hong Kong. Alla fine mi disse: «Vede, noi abbiamo un linguaggio diverso, praticamente opposto – lui parlava del nulla, io parlavo della persona di Dio –, però in fondo diciamo le stesse cose». E mi sembrava che fosse davvero un po’ così, cioè l’esperienza profonda era abbastanza simile, pur essendo diversissime le parole e i concetti.

Incontro al mondo

Ho fatto molti viaggi intercontinentali, soprattutto per predicare esercizi spirituali, ma anche per incontrare culture e civiltà. Due li ricordo particolarmente: il viaggio in Giappone e quello in India. Per quanto riguarda il viaggio in Giappone so che mi dissero: «Quando comincerà a dire che non ci capisce niente, vuol dire che ha cominciato a entrare un po’ nel mondo giapponese». Un altro mondo che mi colpì moltissimo, questa volta davvero ebbi lo choc culturale, tanto da tornare ammalato, fu l’India. Stetti 15 giorni in India, visitando diverse città, cercando di entrare nelle diverse esperienze sia di preghiera, sia di povertà e rimasi così sconvolto che a un certo punto mi ammalai. 
Là tenevo dei corsi biblici, dei corsi di esercizi spirituali, di lectio divina, e usavo sempre lo stesso metodo, perché ritenevo che per la memorizzazione bisogna trovare un metodo facile, in fondo è il metodo che insegna sant’Ignazio di Loyola nei suoi esercizi. Chiamavo questo metodo, un metodo a tre gradini: lectio, meditatio, contemplatio. Anzitutto la lectio. Io dicevo: bisogna leggere e rileggere il testo, cercando di metterne in rilievo gli elementi importanti, la struttura, le affinità, i contesti. Cioè rispondere alla domanda: che cosa dice questo testo? Poi il secondo momento, la meditatio, cioè i valori del testo, i messaggi del testo, rispondendo alla domanda: che cosa mi dice o ci dice oggi questo testo? E terzo, la contemplatio, ossia: che cosa dico io a colui che mi parla in questo testo? E qui inizia l’esercizio della preghiera, dell’interrogazione, che fa sì che non sia una lezione accademica, ma sia un esercizio in cui la persona è coinvolta nella preghiera, nell’adorazione, nella lode, nel ringraziamento, nella richiesta di perdono, nella proposta di cambiamento di vita. Ho visto come questo metodo semplice è stato capito da molti. Non voglio dire che tantissimi l’abbiano messo in pratica, però almeno hanno capito che era importante.

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